Festival della Scienza

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Memoria: il nostro passato fragile e dinamico

Un tuffo nella memoria. Tra i ricordi più o meno importanti. Questa la passione, diventata anche la professione, di Cristina Alberini, professoressa del dipartimento di Neuroscienze e Psichiatria della Mount Sinai School of Medicine di New York, che giovedì 29 ottobre, nell’aula polivalente San Salvatore, ha tenuto nell’ambito della settima edizione del Festival della Scienza una lectio magistralis dal titolo Memoria: il nostro passato fragile e dinamico. Con lei, tutta la folta platea ha analizzato quali sono «i meccanismi biologici che permettono l’immagazzinamento di informazioni che a loro volta vengono mantenute anche per tutta la vita». La memoria, quindi, altro non è che la capacità del nostro cervello di archiviare informazioni, in modo da poterle consultare quando necessario. Perdere i nostri ricordi vuol dire perdere la nostra identità. «Ed è per questo motivo – sottolinea Alberini – che di solito quando si ricorda qualcosa è perché questa cosa viene considerata importante». E così, dal lato biologico, «la memoria ci permette di non ripetere errori che potrebbero portarci all’autodistruzione».

Dal punto di vista umano, invece, «senza memoria non abbiamo più storia. La memoria è una componente fondamentale della nostra identità». Sono varie le forme di memorie conosciute: «La memoria è fissa, ma molto dinamica», ha aggiunto Alberini che durante la lezione ha proiettato clip di film e interviste con pazienti. «Abbiamo una memoria a breve termine, cioè a uso immediato, e una a lungo termine, importante per le nostre funzioni vitali a lungo termine, appunto». Quest’ultima è quella che comunemente viene definita "la memoria", cioè il ricordo del nostro passato. Tutto comincia con l'apprendimento di nuove informazioni che stimolano il cervello e attivano una serie di reazioni biologiche che si succedono nel corso di giorni, settimane e a volte anche per periodi più lunghi. In questo modo le informazioni apprese sono immagazzinate in modo duraturo.

Ci sono due tipi di memoria, esplicito e implicito: «Esplicito vuol dire riferito a fatti, persone e cose accadute, che possiamo raccontare. Implicita, invece, è la memoria di come si fanno le cose, basata sulla ripetizione. È il lobo temporale del cervello a processare queste informazioni. La memoria, poi, può essere soggetta a consolidamento e riconsolidamento e questo succede quando viene riattivato un ricordo fragile».

A volte la memoria può causare danni alla salute dell’uomo: «È il caso di tossicodipendenti e reduci di guerra. A volte quest’ultimi ricordano costantemente un avvenimento traumatico al punto da star male, non dormire la notte e finiscono così per ammalarsi di depressione o addirittura suicidarsi».

Dopo una lunga serie di esperimenti su animali, in particolar modo ratti, Alberini e il suo team sono arrivati alla conclusione che: «Le memorie recenti sono più sensibili e fragili. A loro volta, più traumatiche sono le memorie e più sono resistenti». L’esperta del Mount Sinai, uno degli ospedali più importanti della Grande Mela, ha esposto anche il suo punto di vista sui trattamenti farmacologici: «Non sono efficaci se fatti immediatamente dopo la cura. Inoltre pochi, massimo uno o due, sono sufficienti a dare un risultato massimale a lungo termine».

Genova, 29 ottobre 2009

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