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Casi freddi, incontro con la criminologa Jessica Ochs

“I casi freddi sono indagini rimaste aperte, nelle quali sulla scena del delitto non sono stati riscontrati elementi sufficienti alla loro risoluzione. Di conseguenza, si sono raffreddate”. Esordisce così Jessica Ochs, criminologa della Polizia Scientifica, nell’incontro che giovedì 29 ottobre pomeriggio, alla Libreria Feltrinelli di Via Ceccardi, l’ha vista protagonista per la presentazione di Casi Freddi, opera collettiva che analizza alcuni dei più celebri fatti di sangue della storia italiana attraverso la voce dei principali esperti in materia.

Nel libro, tra gli altri, il criminologo Massimo Picozzi si confronta con il caso della Dalia Nera, mentre il Comandante dei RIS di Parma Luciano Garofano riporta alla memoria il delitto dei coniugi Benbawi, caso che appassionò l’Italia per dieci anni, e lo scrittore e dirigente della Polizia di Stato Piernicola Silvis rievoca i rapimenti degli anni ’70. I giornalisti Antonio Rossitto e Mauro Zola ripercorrono le fasi di due indagini emblematiche: rispettivamente il “delitto della sera”, caso risolto solo dopo vent’anni, e Unabomber, il caso del bombarolo del Nord Est nel quale gli investigatori erano sicuri al 100% della colpevolezza di Massimo Signorotti, ma hanno dovuto riaprire le indagini a causa di un grave errore d’inquinamento di prove. Per Tore e Ciccio, i due fratellini di Gravina di Puglia, la verità - come racconta la giornalista Cristina Lodi - è finita in fondo a un pozzo, mentre lo psichiatra Adolfo Ferraro, che l’ha avuto come paziente all’Ospedale giudiziario di Aversa, ricostruisce la vicenda di Luciano Alberti, il “Boia di Albenga”: un omicidio d’amore intrecciato al terrorismo nero, terminato in Cassazione con l’assoluzione per incapacità dell’imputato d’intendere e di volere al momento del fatto.

Molti degli autori del libro fanno parte di una squadra speciale della Polizia scientifica, coordinata dal capo della Mobile di Roma Vittorio Rizzi, che si occupa di riaprire casi non risolti, caduti nell’oblio. “Quando un fatto di sangue cattura l’attenzione dei media, l’interesse generale si catalizza sugli indagati, sulla loro psicologia, sul movente, su cosa ha potuto spingerli a compiere un omicidio. E la vittima? Nessuno pensa più a lei, al dolore della sua famiglia”. Il lavoro della squadra speciale rispecchia invece una tendenza del nuovo paradigma criminologico: il ritorno all’attenzione per le vittime.

La riapertura di un caso non è una procedura semplice, perché coinvolge aspetti burocratici lentissimi; in sede di analisi tutto diventa ancora più complesso, e a distanza di tempo è difficile ricostruire la scena del delitto. “Le quarantotto ore dopo l’omicidio sono fondamental”, ha spiegato Jessica Ochs. “Appena i medici, i familiari o i primi poliziotti mettono piede sul luogo dell’omicidio, le prove sono già inquinate. Chi per primo interviene sulla scena del crimine ha una grande responsabilità che spesso non riesce a reggere per la pressione”.

Per permettere di lavorare sugli elementi della scena del crimine nel loro stato originario è allo studio la possibilità di dotare gli infermieri del 118 e le volanti di Polizia e Carabinieri di un casco con telecamera. Grazie all’attività della squadra speciale, numerosi casi stanno venendo riaperti, ma in Italia – conclude Ochs - c’è un problema alla radice: “Nel nostro paese non esiste un albo della criminologia. Nessuno vive facendo psicologia forense. Per permettere alla giustizia di fare il suo corso sarebbe invece necessario un salto di qualità nella formazione delle forze di polizia”.

Genova, 29 ottobre 2009

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