Festival della Scienza

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Dinusha Mendis: il digital divide e il futuro della tecnologia

Digital divide indica la distanza nell'uso delle moderne tecnologie tra i Paesi in via di sviluppo e quelli cosiddetti sviluppati, come anche quella esistente al loro interno. Se ne è parlato venerdì 30 ottobre nella Sala del Minor Consiglio di Palazzo Ducale in occasione del Festival della Scienza. Dinusha Mendis, docente di legge presso la Facoltà di Legge del Lancashire e membro del CLICT (Centre for Law Information and Converging Technologies) presso l'Università del Lancashire centrale, è una delle maggiori esperte sull’argomento. Nella sua Lectio magistralis, Mendis ha spiegato che il digital divide non è un problema tecnologico, ma politico, perché è nella testa dei decisori politici.

Il giornalista Federico Ferrazza, che ha introdotto la giurista, ha portato l’esempio di tre paesi che affrontano in modo diverso il problema della banda larga: «la Finlandia ha da poco introdotto una normativa che dichiara l’accesso a Internet a banda larga un diritto. L’Africa possiede le tecnologie che potrebbero rendere la Rete accessibile a tutti. Infine l’Italia non è ai primi posti per l’accesso al Web: il 12% della popolazione non può accedere alla banda larga. L’investimento che il Paese dovrebbe fare per cambiare la situazione è più o meno pari alla cifra che occorre per costruire il ponte di Messina. Dunque la politica ha un ruolo fondamentale nel digital divide».

Secondo Dinusha Mendis «è importante che un Paese possegga la tecnologia, ma altrettanto fondamentale è l’infrastruttura normativa per introdurla. Il digital divide ha avuto inizio nel 1995 negli Stati Uniti, e già da allora è stato chiaro che le divisioni esistevano anche all’interno di uno stesso Paese». Mendis cita il caso emblematico dell’Africa, un Paese che, negli ultimi anni, ha portato avanti svariati progetti per risolvere il problema: «In particolare, è stato sviluppato un Laptop per i bambini: si tratta di un dispositivo che permette loro di istruirsi. Dato che in molte case africane non c’è l’elettricità, è stato messo a punto un sistema che permette di crearla per un certo periodo di tempo, in modo da poter alimentare il portatile».

Sono 362 mila gli studenti che hanno utilizzato il programma, e 18 mila gli insegnanti: un grande successo per un progetto che ha visto anche la collaborazione di Microsoft e che poi è stato riproposto anche in Sud America, in India e nello Sri Lanka. È africano anche il progetto Mobile Banking, che risolve il problema di chi, non avendo possibilità economiche, non può accedere al sistema bancario: «come può un contadino povero mettere in banca i propri risparmi? Il sistema M-Pesa (denaro mobile) permette anche di mandare i soldi ai parenti senza bisogno di viaggiare rischiando di subire furti. La tecnologia mira proprio a questo: facilitare l’esistenza».

Ma qual è il futuro della tecnologia? «La parola chiave è “connettività”. In futuro ci sarà ancora più tecnologia rispetto ad oggi. Il Regno Unito ha lanciato il progetto Digital Britain, i cui obiettivi sono l’accesso alla banda larga in tutto il Paese entro il 2012 e la risoluzione del problema della condivisione illegale dei file. La Finlandia ha fatto un grande investimento per ottenere un accesso universale alla rete per tutti».

Secondo Sir Tim Berners-Lee “il web è un diritto fondamentale di base, come l’acqua pulita”: «ma oggi non tutti hanno accesso all’acqua pulita». Quindi la scelta è tra l’acqua e il Web? «Non è una questione di alternativa, perché sono entrambe importanti», ha concluso Mendis, «tutto dipende dall’economia dei singoli paesi e dai loro decisori politici. Un mondo collegato dalla tecnologia, comunque, è ancora molto lontano».

Genova, 30 ottobre 2009

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