La scienza si scontra sempre più spesso con posizioni che in nome della religione o dell'etica si oppongono alle sue conquiste. Il più delle volte questa opposizione si risolve in un doppio dogmatismo. Da una parte si pone l'inflessibilità di chi, soprattutto nella gerarchia cattolica attuale, ritiene di avere accesso a una verità trascendente o comunque superiore alle conoscenze empiriche: queste convinzioni sono una benedizione per chi vi attinge, ma non sono spendibili come tali nella argomentazione e nel confronto con chi non le possiede. Dall'altra parte si contrappone la rigidità di chi, dall'interno del mondo scientifico, tende a presentare le proprie conoscenze come certezze, ignorandone o fingendo di ignorarne i limiti: i fatti scientifici non solo sono sempre carichi di teorie, ma sono anche sempre più incerti e sfumati, anche nel campo delle scienze dure, per ragioni intrinseche oltre che contingenti. Basti pensare al carattere arbitrario e storico dei criteri con cui in ogni disciplina si raggruppano le osservazioni in classi omogenee, come le malattie nella Classificazione Internazionale.
I guasti di queste due debolezze travestite da dogmi si vedono nel dibattito, ormai quotidiano, su argomenti come il prolungarsi artificiale e magari indesiderato della vita e della morte, il cambiamento climatico, le cellule staminali, gli organismi geneticamente modificati. Quasi tutti abbiamo la sensazione di essere agiti in queste discussioni, senza mai realmente capire quali sono i fatti e quali sarebbero le decisioni giuste. Il mio intervento mira ad affermare alcuni semplici presupposti che consentano di condividere un metodo di deliberazione partecipata sui temi rilevanti per la società intera.
Il primo presupposto è che la scienza non è una ricetta per trovare le risposte giuste ai dilemmi etici e politici della società contemporanea. Il secondo è che le conoscenze prodotte dalla scienza sono comunque quanto di meglio abbiamo a disposizione per illuminare (non dettare) le scelte, e soprattutto esse consentono di scartare le opzioni non più sostenibili perché falsificate, come per esempio il razzismo genetico.
Biografie
Paolo Vineis
Medico, Professore di Epidemiologia Ambientale allImperial College di Londra, Professore Aggiunto di Epidemiologia alla Columbia University, New York, dirige la Sezione di Life Sciences alla Fondazione ISI di Torino. Il suo campo principale di attività è la ricerca sulle cause ambientali dei tumori e linterazione con la suscettibilità genetica. Ha pubblicato più di 400 articoli scientifici e alcuni libri: The Molecular Epidemiology of Chronic Diseases", Il crepuscolo della probabilità", Equivoci bioetici e, con Roberto Satolli, I due dogmi.
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